La linea sottile

Ho ritrovato dei racconti scritti in un’altra vita, sono sempre io, ripiegato su mille pensieri e sensazioni e sempre con questa distonia tra vissuto e sentito, questo risale al 28 Novembre 2005, periodo parecchio intricato.

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Una notte in giro per Pisa pensando

“The very fine line between loneliness and solitude, reflection; being alone, always appealed to me when I was a kid.”

(Brad Mehldau)

Un fine settimana intenso, fine settimana di pioggia, note e chilometri. Rimango sempre un po’ stupito dalle sensazioni che mi si rovesciano addosso in alcune circostanze, il senso di solitudine che mi prende, spesso per contrasto proprio nei momenti di maggior casino intorno. Venerdì, inizio concerto ore 22 Livorno, c’è qualcosa che non mi convince, sarà il vento con la pioggia, un certo grado di ’squallore’ nei discorsi pre concerto, il disprezzo piu’ assoluto della musica da parte del trombettista e del bassista, per motivi opposti, il trombettista troppo snob per credere che la musica cubana sia degna di essere suonata bene ( ed infatti la suona male, perchè non ascolta, non conosce, non ama….), il bassista perchè proprio della musica non ha nessun rispetto. Insomma il concerto passa abbastanza in maniera indolore, mi concentro sul pianoforte ahime digitale e faccio quello che posso,  cercando di tenere le interferenze fuori dalla porta, anche se questo processo consuma energia. Alla fine del concerto sono davvero immerso nel senso di solitudine ed estraneità, chissà se riusciro mai a gestire questa cosa, questo senso di alienazione che mi riempie, un caffè di corsa, e smontare il pianoforte, in macchina verso Empoli.

 

La strada è bagnata, diluvia, le luci delle macchine di fronte, qualche nota sgraziata del concerto che continua a risuonarmi in testa, arrivo ad Empoli verso le 2.30 riesco con difficoltà a trovare la casa dove c’è la festa di laurea di Lotta, quando arrivo sono rimaste poche persone, quasi tutti musicisti.
Tanto per cercare di allontanare da me la negatività che ho accumulato, bevo un bicchiere di vino ed inizio a parlottare con il batterista, vedo con dispiacere che non è montato un pianoforte ma un hammond. Odio suonare l’hammond, non è il mio strumento, non lo so controllare, non lo so gestire, non abbiamo intesa io e quel mostro di suono. Faccio un paio di brani, e poi capisco che non è cosa, allora lascio lo strumento al suo proprietario che lo sa far ruggire come si deve, e mi perdo inesorabilmente dietro i miei fili mentali. Piano piano la festa si svuota e rimaniamo in 4, le ultime chiacchiere una partita a ping pong alle 6 di mattina (ma quanto cavolo di fiato ci vuole per giocare a ping pong…) e di nuovo in macchina verso Pisa, sotto una pioggia battente, le corse di 4 imbecilli sprezzanti della vita altrui ed arrivo a casa alle 7.30, un caffè una doccia ed a letto che alle 17.30 devo ripartire per suonare a Cecina.

Sveglia alle 15.30, sonno agitato, mal di testa da eccesso alcolico, e da stanchezza non smaltita, colazione rincoglionito sul divano, doccia e sono già le 16.30 riordino le idee per il concerto della sera, repertorio tutto nuovo, cubano tradizionale con un bassista nuovo. Finalmente potrò suonare i brani di Lecuona, adoro quell’uomo, un pianista ed un compositore raffinatissimo, La comparsaSiboney, brani ricchissimi armonicamente, ritmicamente, una vera meraviglia, il pensiero di quella musica mi riscalda. Partenza ancora tanto per cambiare sotto acqua neve, piove piove piove, non ce la faccio più piove da 4 giorni senza sosta. All’arrivo al locale a Cecina, mi avvento subito sul pianoforte, per conoscerci un pochino, cercare di capire se sarò solo durante la serata oppure anche lui potrà darmi una mano.
Lo tocco, cerco di capire un po la sua storia, ma non mi risponde è pigro, è un pianoforte a noleggio di scarsa qualità coreana, un pianoforte che è stato poco amato, poco curato, e reagisce con un suono sottile, piccolo, che non ha corpo, che cerca di interferire negativamente con le idee musicali, cerco un canale per comunicare ma non ce la faccio.
I pianoforti sono tutti diversi, da un pianoforte può dipendere l’esito di un concerto, nel bene e nel male, il pianoforte del concerto di Colonia, era un pianoforte un po sgraziato, messo non bene, ma probabilmente solo lui poteva entrare in contatto con Jarrett quella sera, un’altro più nobile, più dignitoso, non avrebbe reso possibile l’atmosfera del concerto. Un buon pianoforte, un pianoforte adatto al tuo umore è un’ arma incredibile, ti fornisce idee.

La maledizione di noi pianisti, non essere a contatto con il suono, abbiamo un’interfaccia complicatissima tra il pensiero ed il suono, e pochi pianisti la conoscono e per questo non sanno controllare il suono, e la maledizione di non poter portare con noi il nostro strumento, quello che ci conosce in ogni piccolo angolo del nostro pensiero, nei momenti belli ed in quelli brutti, quello che noi amiamo e proteggiamo e curiamo, ogni volta su un corpo diverso, far scivolare le dita su questa interfaccia che ogni volta è diversa, non risponde come ci aspetteremmo, un po più rigida, un po più leggera, il corpo del suono.

A volte se ti capita di suonare un grande pianoforte, che ha avuto le cure giuste come lo Steinway del Teatro del Sale a Firenze, la sintonia scatta immediata, lui ti capisce, si lascia capire, e le mani ed i tasti si fondono per arrivare a toccare le corde, l’interfaccia diventa trasparente, se invece il pianoforte è un povero coreano finito nel girone infernale dei noleggi, l’interfaccia diventa il suono ed addio ad ogni velleità. Il concerto è stato difficile, per il pianoforte che non rispondeva, il bassista nevrotico per questa prima serata, che riusciva a sbagliare tutto quello che si riusciva ad immaginare, Felipe che non aveva alcuna voglia di suonare, il pubblico decisamente night anni 70 che popolava il locale.

Archiviazione immediata senza rimpianti, e viaggio di ritorno, in macchina metto un disco di Chucho Valdes, Biryumba Palo Congo (Religion of the Congo tradotto), un disco che fonde la tradizione africana, con il Gospel ed il jazzRapsodia in blu su ritmica Danzon (un vero omaggio a Lecuona che suonò la rapsodia in blu davanti a Gershwin a NY e lo stesso Gershwin rimase ammirato dalla forza e dalla classe di questo pianista), fino a quando arriva l’ultimo brano un gospel africano, mistico, quasi una specie di liturgia musicale, voce, coro. Pianoforte percussivo, pattern ritmici, poliritmi, tutto talmente naturale da sembrare ‘ovvio’.

 

Ed e’ in questi momenti che si verifica la vera disgiunzione sensoriale, ascoltare le note di Gershwin, mi mette sempre in uno stato d’animo strano, come se non potesse capitare niente di male, e contemporaneamente sento il mostro, ed il contrasto è sempre forte e mi lascia confuso. Ancora sonno agitato, rimango a letto fino alle 4 di pomeriggio, aprendo gli occhi di tanto in tanto, rispondendo a qualche messaggio a qualche telefonata, ed il resto della giornata di ieri è una camera di decompressione, alcune domande ieri sera a cui è difficile rispondere e che sono il punto centrale della mia vita attuale, l’infinito, dove cercarlo, esiste, non smettere di crederci, sapere perchè ci si sveglia, perchè si ama, perchè si provano alcune sensazioni, perchè perchè , ma sono poi necessari tutti questi perchè?  Forse basterebbe sentire, e non aver paura di sentire e mai sottovalutare le conseguenze del sentire senza ma ne perchè.

 

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